La lotta contro la videosorveglianza come atto contro la
civilizzazione
Negli ultimi anni l’uso delle telecamere e della video
sorveglianza per monitorare spazi pubblici e privati è venuto
fuori a livelli mai visti prima, aiutando la nascita di un unico
stato mondiale che meticolosamente controlla gli aspetti della
vita politica e sociale attraverso il potere di un perfezionato
sistema di repressione tecnologica.
All’avanguardia in questo processo è la Gran Bretagna dove si
stima che tra i 150 e i 300 milioni di sterline vengono impiegate
ogni anno nella costruzione di una rete di 200 mila telecamere
dotate di zoom e capacità infrarosse. La più colossale rete
esistente di telecamere in G.B. è stimata invece ad un milione e
mezzo di pezzi che irradiano invisibili linee di influenza su
coloro che vivono sotto i loro occhi predatori e vojeuristici.
Circondando tutto, una invisibile retina elettronica sta emergendo
come un incontestato ed assoluto meccanismo regolatore dal quale
non è possibile sottrarsi o nascondersi. La chiarezza con cui
queste videocamere catturano le immagini è spesso eccellente (per
lo Stato) con molte di loro capace di leggere la marca su di un
pacchetto di sigarette a centinaia di metri. Queste videocamere
sono una grande minaccia per il futuro, visto che la Gran Bretagna
è usata in molti modi come un “laboratorio sociale” per lo
sviluppo di nuove tecnologie che estendo l’oppressiva omogeneità
dell’ordine, metodologie di sottomissione sono progettate e
installate con l’obiettivo di aumentare l’uniformità e di spazzare
via la vita selvaggia a livello internazionale. Il Ministero
dell’Interno della Gran Bretagna stime che il 95 per cento di
paesi e città stia sorvegliando gli spazi pubblici, gli edifici
pubblici, le aree residenziali, i parcheggi, ecc. con l’uso di
telecamere. Il sistema, completamente ossessionato dall’ordine, la
precisione, la razionalità, può adesso “zoommare” nelle vite dei
suoi “cittadini/sudditi” e fare un ulteriore passo in avanti verso
l’eliminazione dell’autonomia dell’individuo. Gli architetti e gli
urbanisti inglesi stanno già pianificando i posti delle telecamere
negli edifici e nelle strade quando concepiscono le loro
creazioni. Alcune delle telecamere installate sono
“spaventapasseri”, gusci vuoti all’interno che non riprenderanno
mai niente, ma la cui presenza rinforzerà lo stesso senso di
alienazione e otterrà comunque la stessa obbedienza dai loro
ghettizzati e sottoposti esseri umani. Le apparenze sono mantenute
e la monotonia imposta dall’invasione di questo progresso tecnico
che aiuta a governare i dettagli dello spazio urbano e della
reclusione sociale generalizzata.
Il sistema globale sta lottando per spazzare via tutti gli spazi
fisici concorrenti per modellare le relazioni interpersonali
attraverso le realizzazione di spazi chiusi. Le nanotecnologie, le
manipolazioni genetiche e, appunto, le telecamere di sorveglianza,
fanno parte dello stesso progetto di addomesticare la vita
selvaggia e ridurla a profitto della società mercantile. La
sola presenza di telecamere falsa il rapporto tra sfruttati e
sfruttatori, creando relazioni umane false, artificiali e carenti
d’intensità. Un apartheid di relazioni sociali ghettizzate diventa
la norma nella unione fra l’architettura e lo stato di polizia.
Queste tecnologie di sorveglianza stanno per sposarsi con
sofisticati programmi di computer che sono capaci di riconoscere i
tratti somatici autonomamente, analizzare i comportamenti delle
folle ed in certe condizioni valutare la presenza di cose tra la
pelle umana e gli abiti. Il governo americano sta attualmente
finanziando lo sviluppo di un sistema che permette alla polizia di
“scrutare” sotto i vestiti di una persona per vedere se porta con
sé armi o altri oggetti. Attraverso il rafforzamento della
videosorveglianza l’ordine politico si para le spalle e crea una
valvola di sicurezza contro le sedizioni. Quando alcune fazioni
oppresse si sollevano contro lo sfruttamento di una società
super-organizzata le telecamere presenti nello spazio urbano
isolano, ingrandiscono ed estrapolano prove fotografiche
permanenti degli atti dei ribelli. Questi apparecchi esistono per
creare un mondo sterile, scolorito, nel quale la spontaneità
scompare, il nostro comportamento è completamente rispettoso della
legge e nel quale l’umanità si addormenta inconsapevole della sua
morte.
La proliferazione delle telecamere di videosorveglianza e di altre
tecnologie del dominio evoca molti tipi di incubi orwelliani. Ma
fare un’analogia così ovvia con l’importante libro “1984” sarebbe
deludere i nostri lettori, soprattutto quando è possibile
descrivere le condizioni della attuale società industriale usando
più accurati modelli politici. Ogni tentativo serio di analizzare
ciò che rinchiude le nostre vite nel mondo moderno porterà
inevitabilmente alla constatazione che la società stessa è
diventata una enorme galera, un monumentale gulag dei corpi, delle
menti, dei sensi. Non è sorprendente quindi che molti eminenti
teorici, prima e dopo Orwell, abbiano descritto la società usando
delle “immagini carcerarie”. Max Weber descrive la società come
una “gabbia di ferro”, Gary T. Marx la definisce “una società di
massima sicurezza”, mentre altri l’hanno nominata “società
disciplinare”. Michel Foucault offre un più sinistro concetto per
sottolineare la invisibilità della repressione ad alta tecnologia:
quella del Panopticon di Jeremy Bentham. Questo Panopticon era una
prigione dove tutti i prigionieri erano segregati in cella
disposte intorno ad una torre centrale che consentiva alle guardie
di osservare i rinchiusi senza essere viste e dove essi avevano di
conseguenza la sensazione di poter essere sempre sotto l’occhio di
qualcuno. Bentham, un filosofo inglese, rivelò nel 1791 il suo
prototipo di “posto che vede tutto” (dal greco “Pan-opticon”,
appunto), la definiva galera con lo scopo principale di usare
l’incertezza psicologica e la paranoia di una costante
sorveglianza come strumento di disciplina e di auto-repressione
del comportamento. Questo verme di filosofo riteneva che questo
principio fosse utile applicarlo anche in altri luoghi sociali
come scuole, ospedali e molti altri, ma non ebbe molto successo
nell’applicazione pratica dei suoi progetti malati (almeno durante
la sua vita). Foucault ha “rubato” questa metafora per descrivere
il perfetto apparecchio di governo per qualsiasi istituzione che
abbia bisogno di disciplina.
Incoraggiando l’autosorveglianza il Panopticon assicura
l’automatico funzionamento del potere: il controllo della società
moderna non è più la dominazione fisica, esso è interiorizzato, lo
sguardo di qualcuno che gode di una posizione di autorità è un
meccanismo di potere che imprigiona e lega i soggetti che captano
nel suo raggio d’azione. Questi esempi del Panopticon e dei
principi sui quali si basa il suo funzionamento ci offrono un
benefico strumento critico per comprendere la diffusione
generalizzata delle telecamere e il progetto di controllo dello
stato sulla psiche dell’intera popolazione, perché il vero e più
profondo significato della loro presenza è quello di trasformare
la mente stessa in uno spazio di reclusione. L’effetto psicologico
di sorveglianza di queste cacciatrici di immagini crea delle
catene mentali altrettanto forti di quelle di ferro. Credendoci
guardati sotto il microscopio dello Stato siamo spinti a
comportarci come vorrebbero coloro che guardano. Gli zoo urbani in
cui il sistema ci ha fatto gregge diventano sempre più
claustrofobici man mano che le tecniche di controllo sociale
metastatizzano fuori e dentro di noi dando l’impressione della
onnipotenza e onnipresenza della polizia.
Sarebbe un serio sbaglio comunque focalizzarsi solo sull’effetto
psicologico di autocontrollo delle telecamere e ignorare la loro
forza reale e fisica di questo dispotico abuso di Stato.
I dominatori stanno impegnandosi a costruire un’istituzione totale
di perenne e incancrenita paura e senza dubbio le loro telecamere
sono lì per catturare, analizzare, collegare, seguire e archiviare
i nostri movimenti. Lo Stato ha interesse a sapere quali regole
sono seguite e quali no, chi obbedisce e chi no e come è possibile
individuare e punire coloro che deviano dalle leggi. Le telecamere
spesso registrano e forniscono prove e, in alcuni dei peggiori
labirinti metropolitani, sono diventante più diffuse della vita
animale.
La lotta di classe è stata sempre una componente della
civilizzazione, e la video-sorveglianza è uno strumento di una
classe sociale particolare per sequestrare e sconfiggere l’altra.
Gli sfruttati, gli indesiderati, i cattivi consumatori e il mondo
selvatico, siamo tutti costretti a veder svanita la nostra
autonomia, la nostra libertà. Sui posti di lavoro le videocamere
si stanno dimostrando una nuova caratteristica del conflitto di
classe; i capetti vengono sostituiti dall’occhio silenzioso e
instancabile di questi apparecchi elettronici. Ancora una volta la
macchina ha sostituito l’essere umano. Invece di far sentire il
fiato sul collo alla popolazione sottoposta, adesso il padrone
preferisce controllare il loro lavoro dalla più fredda e lontana
sala di registrazione nascosta. Le tecniche di controllo
scientifico ampliano la loro portata e vanno a minacciare quelle
pratiche che da sempre sono state l’arsenale dei deboli
(sabotaggio, furto, scioperi spontanei).
Nel passato le persone sfruttate sapevano che il monitoraggio era
intermittente, il guardiano non poteva essere dappertutto ed in
ogni momento. Invece le telecamere possono essere dovunque e
permettono di registrare tutto e di scoprire il genere di rapporti
che intercorrono tra compagne e compagni di fatica.
Le telecamere dello Stato stanno provando a formare un nuovo tipo
di schiavi della civiltà, gente soddisfatta nelle sue poche
possibilità, nell’anonimato e nell’isolamento, che sogna i sogni
circoscritti dei “senza potere” e dei “senza immaginazione”,
incapace di superare i meschini confini che fornisce il sistema.
Senza nessuna aspirazione di andare oltre le loro tombe di
plastica, gli sfruttati e le sfruttate diventano pian piano come
animali selvatici ai quali sono stati tolti denti e zanne.
Per fortuna gli esseri umani non sono ancora dei robot ma esseri
potenzialmente selvaggi, ingovernabili, capaci d’interpretare,
rifiutare ed eventualmente distruggere le strutture che li
opprimono.
Usando il linguaggio militare: per ogni strategia sviluppata con
un particolare obiettivo, ci sono sempre molte tattiche che
possono essere impiegate a contrastarla. Infatti, detto
semplicemente, la strategia è la scienza dei movimenti militari
oltre il campo visivo del nemico, la tattica dei movimenti
all’interno del suo campo visivo. Per ogni nuova strategia di
controllo sociale messa in campo dal sistema ci sono nuove e
sorprendenti tattiche di negazione, sovversione e resistenza.
Perché l’occhio del Grande Fratello ha delle zone morte proprio
come quelle degli esseri umani che siedono dall’altra parte delle
lenti.
In una società conformista fatta di mediocrità e standardizzazione
dove la collaborazione o la resa sembrano essere le uniche
risposte possibili alle schiaccianti potenzialità del controllo,
fa piacere vedere ribelli in tutto il mondo che si stanno
dedicando a portare avanti una lotta militante contro le
telecamere.
Nell’agosto del 2002 in Gran Bretagna una formazione chiamata
Motorist Against Detection (M.A.D.) ha cominciato una campagna di
azione diretta contro le telecamere cominciando da quelle che
rilevano la velocità dei veicoli sulla famosa autostrada M11 in
Essex. Queste telecamere erano ritenute le più ladre della nazione
essendo benissimo in grado di totalizzare multe per 840 mila
sterline alla settimana! Nel giro di un paio di settimane il
gruppo M.A.D. ha sabotato 30 telecamere in un tratto di strada di
26 miglia. I membri del M.A.D. hanno giurato di bruciare, spaccare
o far saltare tutte le telecamere che capitino nel raggio della
loro rabbia. E hanno mantenuto le loro promesse con una serie di
attacchi nella zona di Norfolk dove 6 telecamere del valore di 100
mila sterline sono state vandalizzate o cotte. I misteriosi
militanti stanno in breve tempo diventando eroi popolari in Gran
Bretagna. Dal sud fino alla Scozia si stanno distruggendo le
telecamere in una trasformazione carnevalesca della topografia
totalitaria dello Stato.
Con ogni telecamera che costa circa 30 mila sterline il conto dei
danni è alto. I ribelli non si pentono e affermano: «Siamo tutti
cavie in un gigantesco esperimento che vuole restringere la nostra
libertà», e ancora «Siamo stanchi di pagare per arricchire le
tasche delle istituzioni e della polizia, ogni giorno leggiamo di
storie sulle telecamere e ogni giorno sentiamo la gente
lamentarsi, fino ad ora questo non ha fatto molta differenza, è
tempo per tutte e per tutti di agire, prima che sia troppo
tardi!». Cellule particolarmente distruttive dei M.A.D. operano a
Londra, nell’Essex e in Galles, ed ultimamente anche nella Scozia
centrale. La maggior parte delle loro azioni è semplice, come
rovinare le lenti con della vernice, bruciare le telecamere o
abbattere i sostegni che le reggono. Ma ci sono casi come quello
del 2003 in cui una telecamera è stata disintegrata con
l’esplosivo. La campagna cominciata dal M.A.D. sta prendendo piede
ed oggi la distruzione di telecamere è un evento con cadenza
settimanale in Gran Bretagna, fino ad adesso il gruppo M.A.D. ha
preso responsabilità per circa 700 telecamere attaccate, ma sono
gruppi minori che procedono mettendo accanto o sopra le telecamere
dei copertoni e poi danno fuoco; altri hanno usato armi da fuoco e
altri sistemi ancora più fantasiosi e divertenti.
Nel febbraio 2004 un gruppo chiamato Mandip Mafia ha ottenuto
molta pubblicità quando ha fatto saltare una telecamera con
dinamite vicino al paesino di Emborough sulla strada A37. Ma anche
in altre parti del mondo la resistenza contro le telecamere si sta
sviluppando. A Bruxelles un uomo di nome Willem Lawrens è accusato
di aver guidato una banda che ha bruciato 26 telecamere, mentre in
Francia la prima telecamera-radar è stata vandalizzata poche ore
dopo la sua installazione con un pesante martello: la polizia,
altrettanto determinata, l’ha sostituita il giorno dopo. Agli
inizi di Ottobre 2003 si ha notizia che un ordigno artigianale ha
distrutto una telecamera a Belfast e alla fine dello stesso mese a
Milano in una notte vengono attaccate e manomesse circa 100
telecamere in tutta la città.
La totale amministrazione della vita è un progetto in corso e
per combatterlo dobbiamo smetterla con un atteggiamento passivo
e andare all’offensiva sviluppando un caos rigenerante
sfasciando i legacci istituzionali e mentali sulle nostre vite.
La lotta per riottenere la selvatichezza è essenzialmente uno
scontro tra organizzazione e caos, la tecnologia ha non solo una
vita propria ma una vita che infiltra le nostre spazzando via le
nostre caratteristiche più vere man mano che accettiamo i suoi
parametri meccanicistici. Se noi soccombiamo all’ingegneria
totalitaria contro il nostro mondo rischiamo di diventare noi
stessi degli aneroidi: animali trasformati in macchine. Solo
demolendo le diavolerie dello Stato abbiamo la speranza di
strisciar via da sotto al tallone dell’ordine politico che ci
schiaccia.
LO STATO E LA TECNOLOGIA SONO DUE DEI PIÙ OVVI NEMICI DELLA
LIBERTÀ.
DISTRUGGI CIÒ CHE TI DISTRUGGE!!!
* * *
Opera originale tradotta dall’inglese e pubblicata nel 2004.
Quest’opera fa parte della “Serie Iconoclastica”.
La “Serie Iconoclastica” vuole stimolare, attraverso scritti
datati e non, quelle particolari ma centripete propensioni vitali
che in tanti, anzi troppi, hanno ancora atrofizzate. Indoli,
bisogni, fuori nascosti dovuti a quella miseria mentale, nociva
quanto la miseria fisico-economica, propria di quel processo
storico sociale che nei secoli dei secoli sta portando ad un
annientamento generale degli individui.
Uno stimolo all’autogestione delle proprie vite, alla libera
determinazione dei propri movimenti e della scelta dei rapporti, e
quindi alla negazione dei rapporti forzati ed eterodeterminati,
alla negazione della delega, alla negazione di icone e simboli
sacri che non per forza possiamo riscontrare come imposti o
istituzionali, ma che talvolta ci si trova da soli a creare. Miti
e artifizi che unificano nell’illusione del sentirsi veri, ma che
in realtà indeboliscono e rendono ignoranti.
Queste possono verificarsi in forma critica, morale fisiologica, e
chi più ne ha più ne metta. Si tratta di CRITICHE RADICALI che
possono significare non tanto una svolta, quanto rotture vere e
proprie.
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