Anarchia 2020 > WTO. Tutto quello che non vi hanno mai detto… > Introduzione
Dopo
decenni di pubblicità martellante da parte delle
multinazionali che producono latte in polvere per neonati, il mondo
si trova a confrontarsi con la piaga dei decessi neonatali che si
verifica nei paesi del Terzo mondo quando le madri mescolano il latte
in polvere con acqua batteriologicamente infetta. In risposta a
questa crisi della pubblica sanità e a una campagna mondiale
dei gruppi umanitari, l’Unicef istituisce un codice mondiale
che regolamenta il commercio del latte in polvere. Più di un
centinaio di paesi adottano quel codice, che vieta di distribuire il
latte in polvere in confezioni su cui siano raffigurati neonati
floridi e robusti: l’intento è quello di evitare che le
madri associno l’idea del latte in polvere a quella della
salute, abbandonando l’usanza dell’allattamento al seno.
Ma non tutti apprezzano l’idea. Gerber Foods, un’azienda
il cui logo commerciale rappresenta un neonato felice e grassottello,
solleva le obiezioni più forti. Quando il Guatemale richiede
alla Gerber di togliere l’immagine del bambino dalle confezioni
dei prodotti venduti in Guatemala, l’azienda si rifiuta, e
minaccia un’azione legale appellandosi a un accordo commerciale
internazionale noto come Gatt.
All’insaputa della maggior
parte dei cittadini, il Guatemala come in altri paesi, le trattative
proseguono, arrivando a definire a grandi linee la proposta di un
nuovo istituto commerciale straordinariamente potente, il Wto. Questo
nuovo organismo avrà la facoltà di fare applicare una
normativa di oltre 700 pagine, che regolamenta numerose questioni
prima di competenza dei governi nazionali. All’interno di
questa normativa, un nuovo accordo sui diritti di proprietà
impone ai paesi di dare la priorità ai marchi delle imprese
globali rispetto ad altri di portata nazionale.
Il nuovo
organismo è dotato di un eccezionale potere esecutivo, mai
contemplato né dagli accordi sul controllo mondiale degli
armamenti, sull’ambiente, o sui diritti umani, né da
altre massime convenzioni internazionali. Da esso scaturisce un nuovo
sistema di governo globale, in cui un paese può mettere in
discussione le leggi di un altro sottoponendole al giudizio di
commissioni riservate, formate da burocrati del commercio, che si
riuniscono a porte chiuse nella sede di Ginevra. Le politiche
ritenute in contrasto con le norme del Wto dovranno essere abrogate o
modificate; i paesi che insisteranno nell’adottarle pagheranno
al paese che risulterà vincente nel giudizio tariffe più
alte o compensazioni economiche di altro tipo.
Come firmatario
del Gatt, il governo guatemalteco sa quali sono le sfere di
competenza dell’accordo ed è a conoscenza della proposta
di costituzione del Wto. Di fronte alla prospettiva di una lunga e
costosa battaglia dinnanzi a una commissione del Wto, il Guatemala fa
marcia indietro ed esonera l’alimento per neonati dal rispetto
delle norme sulle confezioni. Ancora oggi il neonato paffuto della
Gerber fa bella mostra di sé in tutti i supermercati del
paese.
Questa vicenda rappresenta soltanto un esempio dei modi
in cui il Wto può influenzare, a livello planetario, la vita
di un’infinità di persone, la maggior parte delle quali
ignorano completamente la sua esistenza, e sono inconsapevoli di come
la sua nascita sia equivalsa a un silenzioso colpo di stato ai danni
delle democrazie di tutto il mondo.
A differenza dei precedenti patti commerciali, il Wto e gli accordi che lo compongono estendono il proprio raggio d’azione molto al di là delle tradizionali questioni commerciali, come le tariffe, le quote, o le prescrizioni sul trattamento da riservare alle merci nazionali e straniere. Le norme del Wto possono per esempio limitare l’efficacia delle leggi di un paese in merito alla sicurezza dei cibi o al rispetto delle norme di etichettatura dei prodotti. Possono impedire a un paese di vietare il commercio di prodotti ottenuti con il lavoro minorile. Possono perfino regolamentare l’impiego delle imposte statali (per esempio vietando che nelle decisioni di acquisto dei governi incidano considerazioni di carattere ambientale o umanitario). Le restrizioni del Wto si applicano tanto alle leggi locali o regionali quanto alle leggi nazionali.
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Il
Wto venni istituito il primo gennaio 1995 come parte dell’Uruguay
Round Agreement all’interno del Gatt, e conta oggi 134 paesi
membri. Mentre ancora sono in corso i negoziati dell’Uruguay
Round i gruppi ambientalisti, le associazioni dei consumatori e dei
lavoratori segnalano allarmati che il sistema rappresentato dal Gatt,
in vigore ormai da decenni, uscirà da quella trattativa con
una fisionomia radicalmente diversa, e un’estensione tale delle
sue facoltà da poter assoggettare gli obiettivi di pubblico
interesse – la creazione di governi responsabili, la tutela
dell’ambiente, della salute e della sicurezza, la difesa dei
diritti umani e del lavoro – agli interessi delle aziende
multinazionali.
I fautori dell’Uruguay e del Wto liquidano
questi allarmi come profezie catastrofiche frutto di cattiva
informazione. Assicurano che l’Uruguay Round e il Wto non
minacciano in alcun modo la sovranità nazionale e la libertà
degli stati di decidere in modo democratico e responsabile le proprie
politiche. Sostengono che l’attuazione dell’Uruguay Round
porterà enormi vantaggi economici a tutti i paesi del mondo:
il deficit commerciale degli Usa diminuirà di 60 miliardi di
dollari in dieci anni; i paesi dell’America latina saranno
investiti da un vero boom economico, e anche in Asia la crescita sarà
vertiginosa. Il segretario americano al Tesoro Lloyd Bentsen predice
addirittura che negli Usa l’approvazione dell’Uruguay
Round comporterà un aumento di 1700 dollari sul reddito di
ogni nucleo famigliare.
Oggi, a distanza di quasi cinque anni,
è evidente che le politiche di pubblico interesse sono state
gravemente danneggiate dall’operato del Wto, e che i sistemi di
salvaguardia della salute e dell’ambiente sono minacciati negli
Usa e in tutto il mondo. I vantaggi economici promessi non si sono
realizzati. Non solo il Wto non è stato all’altezza
delle promesse dei suoi promotori, ma continua a produrre guasti
irreparabili.
Questo libro, risultato di un’indagine di un
anno condotta dal Public Citizen’s Global Trade Watch, analizza
i risultati di cinque anni di attività del Wto: studia gli
effetti del Wto sulla difesa e la conservazione dell’ambiente,
sulla sicurezza dei cibi e dei prodotti, sulla pubblica sanità,
sulla sicurezza nel lavoro e sull’accesso ai farmaci,
sull’occupazione, sulla reperibilità dei mezzi di
sostentamento, sullo sviluppo economico e sugli standard di vita, sui
diritti umani e del lavoro.
Questo libro documenta il pericoloso
slittamento del potere decisionale, dalle istanze responsabili e
democratiche – dove i cittadini hanno la possibilità di
battersi perché si faccia il pubblico interesse – a
entità internazionali occulte e remote, prive di
responsabilità di fronte ai cittadini, le cui norme e il cui
operato soggiacciono agli interessi delle imprese multinazionali.
Paradossalmente, gli Usa – che vantano, in teoria, un sistema
di governo tra i più aperti e responsabili – sono in
prima fila nell’usare il Wto per minare le istituzioni
democratiche degli altri paesi e i sistemi che le hanno finora
sostenute.
Gran parte dell’informazione che presentiamo
in merito alle vertenze giudicate dal Wto, e alla minaccia che esso
rappresenta per i governi e le associazioni, viene pubblicata per la
prima volta ed è stata ottenuta soltanto dopo minuziosa
ricerca. La tendenza che emerge è che il Wto sta
tacitamente erodendo l’equilibrio tra gli interessi dei
cittadini in fatto di equità economica, protezione
dell’ambiente, salute e sicurezza da un lato, e gli interessi a
breve termine delle imprese multinazionali in fatto di controllo dei
mercati e di redditività dall’altro.
I fautori
di questo sistema lo definiscono “libero mercato”, ma le
regole del Wto (molte delle quali impongono ampie restrizioni di
stampo monopolistico in diversi settori commerciali come quello dei
farmaci e delle tecnologie) poco hanno a che fare con le filosofie di
Adam Smith e David Ricardo, favorendo invece un modello di
globalizzazione economica che sarebbe più appropriato chiamare
“mercato delle multinazionali”.
Non è ancora
possibile contemplare questo nuovo sistema di governo in tutta la sua
estensione perché alcune delle sue norme non sono ancora
pienamente applicate. È tempo tuttavia di domandarsi: è
un sistema al servizio di chi? Certo non della maggioranza dei
cittadini del pianeta. Questo libro comincia a documentare che il
sistema attualmente emergente favorisce SOLO le grandi imprese
multinazionali e i soggetti più ricchi dei paesi avanzati e di
quelli in via di sviluppo.
Non è detto che questo sistema
si debba ormai dare per scontato. Malgrado gli sforzi propagandistici
di coloro che beneficiano di questo assetto per convincerci del
contrario, il progetto del Wto è ancora a uno stadio iniziale:
non è inevitabile come il fatto che la Luna fa salire le
maree. Portare a compimento il Wto e la globalizzazione che esso
comporta richiede ancora un grandissimo sforzo di pianificazione, di
pubbliche relazioni e di lavoro politico. Se non gradiamo le
prospettive di questo progetto, possiamo inventarci delle
alternative.
Lo scopo di questo libro è quello di mettere
in luce gli effetti dell’attuale sistema per coloro che saranno
maggiormente colpiti dalla scelta di un modello invece che un altro.
Lo abbiamo scritto per tutta quella gente che sa poco del Wto e del
suo operato, e che quindi non immagina lontanamente quale minaccia
esso rappresenti per la salute, la sicurezza, la sopravvivenza, gli
alimenti, l’ambiente e il futuro.
Se dopo aver letto
questo libro concordate con noi che gli esiti del Wto sono
inauspicabili e inaccettabili, siete pregati agire. Lavorando
insieme, gli abitanti di tutto il pianeta possono chiedere di
sostituire il modello Wto con un sistema più equo, che
risponda di fronte ai cittadini e sia ecologicamente sostenibile.
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Dobbiamo
aspettare che le norme dell’Uruguay Round si realizzino in
tutti i loro aspetti prima di poterne valutare gli effetti economici
a lungo termine. Ma le linee di tendenza fin qui emerse lasciano
presagire gravi problemi. Queste linee dovrebbero mutare
drasticamente per riportare semplicemente i paesi in via di sviluppo
alle condizioni, senza dubbio più favorevoli, preesistenti
all’Uruguay Round; e ancora di più per adempiere alle
molte bizzarre promesse di progresso economico ventilate dagli
entusiastici fautori dell’Uruguay Round.
Quello che oggi
sappiamo con certezza è che dalla nascita del Wto il mondo è
stato colpito da un’instabilità finanziaria senza
precedenti. La crescita economica dei paesi in via di sviluppo ha
subito un drastico rallentamento. La disparità dei redditi tra
paese e paese e all’interno dei singoli paesi va rapidamente
crescendo. Malgrado l’incremento della produttività,
nella maggior parte dei paesi i salari non sono aumentati. I prezzi
dei prodotti agricoli sono al minimo storico, il che produce per
molti un abbassamento del tenore di vita, specie in Asia, in Africa e
in America latina. Di fatto, nella maggior parte dei paesi la fase
dominata dall’Uruguay Round ha portato drastici capovolgimenti
di “fortuna”.
L’America latina sta affogando
nella depressione economica più profonda che abbia conosciuto
dalla crisi del debito degli anni Ottanta. Un rapporto della
Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad)
riscontra che “in quasi tutti i paesi in via di sviluppo che
hanno intrapreso una rapida liberalizzazione del commercio, le
disparità salariali sono aumentate, molto spesso nel quadro di
un calo dell’occupazione dei lavoratori non qualificati
dell’industria, provocando una caduta dei salari reali
dell’ordine del 20-30% nei paesi dell’America
latina”.
L’Asia orientale è paralizzata da
una crisi economica causata in parte dalla deregolamentazione del
settore degli investimenti e dei servizi finanziari che le norme del
Wto hanno intensificato e allargato ad altre nazioni. Mentre i mezzi
di comunicazione statunitensi annunciano che la crisi è
superata, gli abitanti della Corea del Sud sperimentano sulla propria
pelle una situazione ben diversa: la crisi ha quadruplicato il tasso
di disoccupazione, e portando l’aumento della povertà
assoluta al 200%, ha fatto regredire di decenni l’economia del
paese.
In generale, gli indicatori economici globali dipingono
un quadro a tinte fosche: nel 1997 la disparità di reddito tra
il quinto della popolazione mondiale che vive nei paesi più
ricchi e il quinto che vive nei paesi più poveri è di
74 a 1, mentre era di 60 a 1 nel 1990 e di 30 a 1 nel 1960. Alla fine
del 1997 il 20% della fascia più ricca detiene l’86% del
reddito mondiale, mentre il 20% della fascia più povera si
deve accontentare dell’1%.
Negli
Usa il deficit commerciale è al massimo storico con 218
miliardi di dollari, e sta ancora salendo – non scendendo, come
promesso – dopo essere balzato a questa cifra dai 98 miliardi
del 1994. il reddito della famiglia media non è aumentato di
1700 dollari l’anno, come promesso dall’amministrazione
Clinton, in nessuno degli ultimi quattro anni, e questo nonostante il
fatto che l’economia statunitense stia crescendo a un ritmo da
record.
Pur disegnando un quadro estremamente eloquente, le
cifre dell’economia danno conto soltanto di un aspetto della
questione. Di uguale rilevanza, ma meno noto, è il costante
primato del Wto nell’erodere le politiche di pubblico interesse
volte alla salvaguardia dell’ambiente, della salute, della
sicurezza, dei diritti umani e della democrazia.
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Le
crescenti limitazioni imposte dall’Uruguay Round alla facoltà
dei governi di mantenere normative di pubblico interesse vengono
attuate per mezzo di un sistema di commissioni interne al Wto, che
hanno la facoltà di giudicare la conformità delle leggi
di un paese ai principi del Wto.
Fin dal suo ingresso sulla
scena, nel 1995, il Wto ha sempre giudicato che tutte le politiche
legislative da esso prese in esame costituiscono barriere illegittime
per il commercio, che in quanto tali devono essere abolite o
modificate. I paesi le cui leggi sono state dichiarate barriere
illegittime – o che sono stati semplicemente minacciati di
giudizio da parte del Wto – hanno abolito o mitigato le proprie
normative. Oltre a depotenziare gravemente alcuni orientamenti,
questa tendenza ha un effetto paralizzante sulla propensione dei
paesi ad approvare nuove leggi sull’ambiente, i diritti umani o
la sicurezza, agendo sulla paura dei governi di trovarsi di fronte a
nuove sfide.
I meccanismi stessi del Wto, concepiti per
favorire il commercio e le multinazionali, rendono inevitabile questo
risultato. A differenza delle commissioni nazionali, ma anche di
altri organismi internazionali di arbitrato, le commissioni e i
gruppi di lavoro del Wto rivelano una sorprendente mancanza di
“trasparenza”, di apertura e di responsabilità di
fronte ai cittadini. Questo conduce alla possibilità che le
industrie vi esercitino un’influenza esorbitante. Un membro
della dirigenza del Wto ha ammesso al “Financial Times”
che il Wto “è il luogo dove i governi colludono in
segreto contro i gruppi di pressione nazionali” [1].
Perfino
le commissioni incaricate di dirimere le controversie si riuniscono
in forma privata, basano le loro decisioni su documenti che non
vengono resi pubblici e sul parere di anonimi “esperti”;
i loro resoconti rimangono strettamente riservati finché non
sia stato deposto un giudizio vincolante. I consulenti del Wto
vengono scelti per le loro credenziali in campo commerciale, non in
settori come la sanità, la tutela ambientale o le strategie di
sviluppo. In ogni caso si tratta di persone che difendono il
commercio a oltranza, non giudici obiettivamente imparziali.
Le
commissioni si pronunciano sistematicamente contro le leggi nazionali
accusate di violare le norme del Wto. I paesi sotto accusa hanno
vinto solo 3 dei 22 confronti completati fino ad oggi (di questi tre
casi, due si sono conclusi a svantaggio degli Usa): in un sistema
simile i paesi poveri e le leggi che difendono il pubblico interesse
sono i grandi perdenti. Di solito i paesi in via di sviluppo non
hanno né il denaro né le competenze per portare la
propria causa in giudizio o per difendersi davanti al Wto. Molti
emendano semplicemente le proprie leggi prima che la questione arrivi
sui tavoli delle commissioni, dando modo così alle imprese e
ai paesi più potenti di distribuire minacce e di obbligare le
nazioni più piccole a cambiare le proprie normative e le
proprie leggi in modo da renderle conformi alle prescrizioni del Wto.
Poiché il Wto è ancora molto giovane, i casi
descritti in questo libro non sono che l’inizio, ma offrono già
uno spaccato decisamente inquietante di quello che avverrà nel
futuro, se non si farà in modo che le cose cambino
radicalmente.
Il problema principale nasce dal fatto che gli
obiettivi e le politiche dei vari paesi devono superare l’esame
del Wto, il quale, tra gli altri criteri, esige che le leggi e le
normative siano le meno restrittive possibili nei confronti del
commercio.
Basti pensare a come è finito il tentativo
degli Usa di ridurre le emissioni dei gas di scarico delle auto. Dopo
la vittoria del Venezuela nel ricorso contro il Clean Air Act (la
legge sull’inquinamento atmosferico, ndt),
accusato di colpire ingiustamente gli interessi dell’industria
petrolifera venezuelana, gli Usa abbassano gli standard che
regolamentano la presenza di agenti inquinanti nella benzina. Con
palese ambiguità di giudizio, il decreto della commissione
arbitrale afferma in questo caso che un paese è libero di
scegliere la politica ambientale che preferisce, a patto che sia
compatibile con la linea del Wto.
Inoltre, le norme del Wto
vietano ai paesi di trattare prodotti dalle caratteristiche simili in
modo diverso, a seconda del modo in cui essi vengono ottenuti o
raccolti. Per esempio, a giudizio del Wto, i tonni catturati con reti
innocue per i delfini devono essere commercialmente trattati in modo
non diverso dai tonni catturati con reti che intrappolano i delfini.
Per questo l’amministrazione Clinton collabora con la
componente antiambientalista più retriva del Congresso per
mitigare una legge popolare finalizzata a evitare che i delfini
vadano a morire nelle reti dei tonni. L’emendamento viene
proposto in seguito alla minaccia del Messico di ricorrere al Wto per
chiedere l’attuazione di una precedente disposizione del Gatt
contro le restrizioni nella pesca dei tonni adottate dagli Usa a
salvaguardia dei delfini. Questa logica regressiva ha già
portato alla sospensione di alcune leggi – per esempio quelle
che bandiscono la pesca a strascico, o che impongono processi di
fabbricazione meno inquinanti – e mette a rischio l’esistenza
di altre che vietano il commercio di prodotti ottenuti con il lavoro
minorile, o fabbricati in paesi che calpestano i diritti umani.
Inoltre la filosofia del Wto mina le basi della cooperazione
mondiale sull’ambiente, sulla salute, sui diritti umani. Se un
paese è membro del Wto, il modo in cui rispetta sul proprio
territorio altri impegni contratti in ambito internazionale deve
essere subordinato alle norme del Wto. Per esempio, il Wto si è
pronunciato contro le disposizioni della legge statunitense per la
salvaguardia delle specie in via di estinzione, che imponeva ai
pescatori di gamberetti il rispetto delle tartarughe marine –
legge con la quale gli Usa adempivano agli obblighi assunti
nell’ambito della Convenzione sul commercio internazionale
delle specie protette (Cites). E attualmente gli Usa e l’Europa
contestano la politica adottata dal Giappone nello sforzo di
applicare le leggi che realizzano gli Accordi di Kyoto sul mutamento
generale del clima dichiarandole illegittime ai sensi del Wto.
La
normativa Wto pone un limite alla sicurezza indicando alcuni standard
internazionali come gli unici validi. Gli standard nazionali che
eccedono quelli internazionali devono superare una rigorosa serie di
verifiche per non essere considerati barriere commerciali. D’altro
canto, nell’ambito della salute e dell’ambiente, non
esiste un livello minimo a cui tutti i paesi debbano conformarsi –
non esistono cioè standard da rispettare, ma solo standard che
non devono essere superati.
Facciamo un altro esempio: la
Francia, assieme ad altri nove paesi europei, proibisce l’uso
dell’amianto quale noto agente cancerogeno. Il Canada sostiene
che le norme del Wto gli conferiscono il diritto di continuare a
vendere il suo amianto, e presenta ricorso al Wto contro il divieto
proclamato dalla Francia. La normativa Wto impone che gli standard
nazionali ricalchino quelli internazionali; gli standard
internazionali, pesantemente influenzati dall’industria,
consentono un “uso controllato” dell’amianto. Il
Canada sostiene quindi che un tale divieto, garantendo una maggiore
tutela della salute rispetto agli standard internazionali,
trasgredisce le norme del Wto. Il caso è attualmente all’esame
di una commissione Wto.
I
vari casi presi in esame dimostrano chiaramente che il sistema Wto
ribalta il concetto sulla base del quale la maggior parte dei governi
affrontano il problema della sicurezza alimentare e altre strategie
connesse alla salute. Di solito sono i fabbricanti a dover dimostrare
che un prodotto è sicuro prima di immetterlo sul mercato, e i
paesi non ne autorizzano la vendita finché l’azienda
produttrice non ne abbia fornito la documentazione adeguata. Invece,
in base alla normativa Wto, l’onere della prova è
ribaltato: i governi devono dimostrare che un prodotto non è
sicuro prima di vietarlo, e devono superare ostacoli procedurali
quasi impossibili per dimostrare che un prodotto costituisce un
pericolo per la salute. Inoltre, le leggi del Wto danno priorità
al commercio rispetto a qualsiasi altra cosa, anche alla salute,
esigendo esplicitamente che le normative nazionali siano le meno
limitative possibili per il commercio.
Con l’istituzione
del Wto, il controllo su questioni di primaria importanza come la
sicurezza dei cibi viene sottratto ai corpi legislativi nazionali e
consegnato di fatto agli interessi delle multinazionali. La sentenza
del Wto contro il divieto dell’Europa al manzo contenente
residui di ormoni artificiali della crescita illustra con allarmante
chiarezza l’approccio del Wto alla salute e alla sicurezza
umane. Il Wto decreta che il divieto dell’Europa alla vendita
di carne contaminata con ormoni artificiali deve essere abolito,
perché gli europei non hanno preventivamente dimostrato su
basi scientifiche inoppugnabili che i “residui” di ormoni
artificiali nella carne rappresentano una minaccia per la salute,
nonostante si sappia che gli ormoni in quanto tale sono
effettivamente nocivi. L’Unione Europea non accetta di piegarsi
alle pressioni statunitensi e continua a respingere il prodotto
sgradito (e nocivo) ai suoi consumatori, ma in conseguenza del suo
atto è costretta a pagare sanzioni commerciali autorizzate dal
Wto per un importo di 115 milioni di dollari all’anno.
Un
altro aspetto allarmante del nuovo regime Wto è che in questo
sistema le nazioni vengono usate dalle multinazionali per mettere in
discussione le normative di altri paesi. Gli Usa lanciano il sasso
per Chiquita, quando il gigante delle banane attacca l’Europa
per il trattamento preferenziale accordato alle banane provenienti
dalle ex colonie europee. Gli Usa non producono banane per
l’esportazione, e la maggior parte dei lavoratori della
Chiquita sono braccianti sottopagati che si ammazzano di fatica nelle
grandi piantagioni del Centroamerica. L’Europa annuncia di non
avere altra scelta se non quella di rinunciare al trattamento
preferenziale – decisione che potrebbe avere un impatto
devastante sui piccoli produttori caraibici indipendenti. La manovra
rischia di portare a una profonda destabilizzazione della basi
economiche su cui si fondano le numerose piccole nazioni democratiche
dei Caraibi. Un simile esito finirebbe del resto per minare anche gli
interessi degli Usa nella regione, fondato sull’interdizione
delle droghe, sulla stabilità politica, sul turismo e il
commercio.
Ma non c’è bisogno che un paese arrivi
effettivamente a trascinare in giudizio le leggi di un altro paese,
per riuscire a cambiarle. Spesso è sufficiente la minaccia.
Dopo la minaccia degli Usa di ricorrere al Wto, la Corea del Sud
mitiga due leggi sulla sicurezza dei cibi: una relativa ai tempi
della conservazione delle carni, l’altra ai controlli sulla
frutta e sugli ortaggi. E mentre molti americani assistono alla
contestazione che le organizzazioni dei malati di Aids inscenano
contro una campagna del vicepresidente Al Gore, pochi si rendono
conto che alla base della protesta c’è una minaccia del
Wto: gli sforzi del Sudafrica per rendere più accessibili alla
popolazione i farmaci, e soprattutto i trattamenti contro l’Aids,
destano la suscettibilità delle aziende farmaceutiche
internazionali e dell’amministrazione Clinton, le quali
sostengono che quella linea di condotta viola i diritti di proprietà
delle risorse intellettuali garantiti alle aziende dalle norme del
Wto. La proposta del Sudafrica favorisce l’autorizzazione di
licenze – in modo che le versioni di base dei farmaci, le meno
costose, possano essere prodotte – e la contemporanea
importazione dei farmaci più economici da altri paesi.
Poiché
i paesi in via di sviluppo mancano generalmente delle risorse e delle
competenze per difendersi nelle controversie, queste minacce possono
essere particolarmente lesive. Ma ad essere sconfitti non sono solo i
paesi in via di sviluppo. Anche i paesi avanzati si vedono minare
alcune valide strategie.
In questo libro illustriamo alcuni dei misfatti perpetrati dal Wto; ma si tratta soltanto della punta dell’iceberg, perché la maggior parte delle sue attività sono coperte dal segreto.
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Al
di là dei singoli casi, già di per sé molto
preoccupanti, è la tendenza di fondo a metterci in allarme. È
ormai evidente che nel forum del Wto il commercio globale ha la
priorità su tutto: sulla democrazia, sulla salute dei
cittadini, sulla giustizia, sull’ambiente, sulla sicurezza dei
cibi e su molto altro ancora.
Addirittura, grazie alla
normativa del Wto, il commercio globale ha la priorità perfino
sulle piccole imprese. Come illustreremo nel capitolo riguardante gli
effetti del Wto sulle economie dei paesi avanzati, l’Uruguay
Round fornisce alle multinazionali nuovi elementi di diritto per
insediarsi in qualsiasi paese membro del Wto. Ovviamente le piccole
imprese non possono usufruire, per esempio, del nuovo diritto di
impiantare un sistema di telecomunicazioni in un paese, di aprire una
filiale all’estero o di trasferire la produzione in un altro
paese per aggirare i minimi salariali o evitare i costi resi
necessari dalla legislazione sull’ambiente e sulla sicurezza
del lavoro. Ma la cosa più deleteria è che la normativa
Wto impedisce l’affermazione di una strategia di promozione
delle piccole imprese che potrebbe avere l’effetto di
discriminare le grandi imprese straniere, cioè le uniche che
possono introdursi nel mercato di un altro paese.
Negli anni
più recenti, gli investimenti diretti da parte di aziende
straniere si sono drasticamente ritirati dalla costituzione di nuove
imprese per promuovere un consolidamento attraverso la fusione con
aziende già esistenti. Come documentiamo nelle pagine che
seguono, questa tendenza si è espressa al massimo
dell’intensità nei settori in cui gli accordi del Wto
hanno avuto piena attuazione, e cioè quelli dei servizi
finanziari e delle telecomunicazioni. Questo nuovo entusiasmo per le
fusioni fa nascere problemi di concentrazione di mercato e, in
assenza di una forza che le bilanci, influenzerà sempre più
i prezzi al consumo e l’accesso ai servizi. Non solo questa
tendenza ha portato all’assorbimento delle piccole aziende da
parte delle imprese globali, ma con la normativa Wto i paesi in via
di sviluppo si sono visti sottrarre molti strumenti di tutela delle
industrie nascenti che, per esempio negli Usa, sono stati resi
possibili dallo sviluppo economico.
In
realtà, il piano manifesto del Wto è quello di portare
tutti i paesi del mondo – che siano o non siano d’accordo
– all’interno di un mercato globale progettato a uso e
consumo delle multinazionali insediate nei paesi avanzati.
In cinque anni di esistenza
del Wto, la quota del commercio mondiale in mano ai paesi più
poveri si è drasticamente ridotta.
Inoltre,
le regole del Wto mirano a mercificare ogni cosa – a
trasformare ogni cosa in una forma di proprietà – in
modo che poi possa essere commerciata. Per
esempio, il nuovo sistema concede brevetti – e quindi diritti
di commercio esclusivi – per forme di vita e conoscenze
indigene. Si pensi a quello che è successo in India, dove la
popolazione indigena usa da generazioni il neem
a scopi medicinali. Quando un
importatore statunitense ha scoperto le proprietà
farmaceutiche del neem,
le compagnie multinazionali statunitensi e giapponesi hanno richiesto
e ottenuto numerosi brevetti su prodotti ottenuti dal neem,
privando le popolazioni indigene della possibilità di trarre
vantaggio da una conoscenza che hanno sviluppato nei secoli.
Si
pensi anche in quale drammatica situazione si vengono a trovare i
piccoli contadini che praticano l’agricoltura di sussistenza.
Malgrado l’aumento massiccio del commercio di generi
alimentari, soltanto il 15% della riserva mondiale di cibo passa per
il commercio: un’ampia fetta della popolazione mondiale ricava
il proprio sostentamento dall’agricoltura di sussistenza. I
piccoli contadini riescono a produrre ogni anno i raccolti
conservando i semi da quelli dell’anno precedente. Tuttavia,
con le nuove garanzie sui diritti di proprietà intellettuale
previste dal Wto, un’azienda può ottenere i diritti di
proprietà – praticamente un brevetto – sulla
conoscenza e lo sforzo degli agricoltori locali che hanno derivato il
seme perfettamente adattato nell’arco di generazioni. Una volta
che un’azienda (o una compagnia multinazionale) possieda il
brevetto per una certa varietà di seme, può obbligare i
contadini privi di denaro a pagare una “royalty” annuale
– a comperare nuovi semi ogni anno – o a non impiegare
più quella varietà, che potrebbe essere l’unica
disponibile o efficace in quella regione. Inoltre, per mezzo di
un’innovazione chiamata “Terminator technology”, le
aziende possono modificare le piante rendendone sterili i semi, in
modo che il contadino non li possa recuperare per usarli l’anno
successivo. Ciò autorizza di fatto le compagnie a derubare i
piccoli agricoltori della capacità di dar da mangiare a se
stessi e alle proprie famiglie.
Un’altra peculiarità
generale del Wto è la spinta all’”armonizzazione”.
Armonizzazione è la parola usata dall’industria per
indicare la sostituzione degli standard diversificati di molte
nazioni con standard mondiali uniformi, azioni che permette alle
aziende di produrre merci e servizi per un unico mercato globale.
L’armonizzazione ha compiuto un grande balzo in avanti con
l’istituzione del Wto, che costringe o incoraggia i governi
nazionali ad armonizzare gli standard in settori come quelli della
sicurezza del lavoro e degli alimenti, dei brevetti farmaceutici,
delle normative ambientali e dell’etichettatura informativa dei
prodotti.
L’armonizzazione si basa sulla premessa che il
mondo è un unico gigantesco mercato. Le diversità negli
standard, anche quando esprimono diversità di cultura e
valori, sono considerate intrinsecamente indesiderabili (cioè
un ostacolo da eliminare) perché frammentano il mercato
globale. Ma si tratta di una premessa errata.
Quando un unico
standard viene imposto universalmente, è impossibile
rispettare la varietà di scelte che i membri delle società
di tutto il mondo operano rispetto ai modelli di vita. Le
organizzazioni dei consumatori guardano all’armonizzazione con
molto scetticismo, giudicando che una simile manovra produce un
inevitabile conflitto tra il fine dell’industria (unificare
globalmente i mercati) e la democrazia e il potere dei
consumatori.
Un caso di armonizzazione è illustrato dalla
scelta degli Usa di accettare importazioni di carne australiana,
ispezionata dalle stesse aziende produttrici, come “equivalente”
a quella ispezionata dagli organismi di controllo del governo
statunitense. I consumatori non avranno modo di sapere di quale delle
due carni si tratti perché entrambe porteranno il marchio di
approvazione del dipartimento dell’Agricoltura statunitense.
Eppure in Australia gli avvelenamenti da salmonella sono aumentati
vertiginosamente da quando nel paese è stato consentito alle
industrie di effettuare autonomamente i controlli. Questo fenomeno
dovrebbe indurre gli Usa a un controllo supplementare prima di
autorizzare le spedizioni – invece si preferisce dichiarare che
il nuovo sistema australiano è equivalente a quello degli Usa,
aprendo così le porte all’importazione.
Quando si
parla di “equivalenza” significa che standard di altri
paesi, anche considerevolmente diversi – e spesso in senso
peggiorativo -, possono essere considerati alla stessa stregua degli
standard nazionali di un paese. Il Wto provvede a stabilire
l’equivalenza basandosi su confronti soggettivi, in assenza di
chiare linee procedurali e senza rendere conto di quali fattori siano
i fattori presi in esame. Una volta che i paesi abbiano dichiarato
“equivalenti” i propri reciproci standard, nessuna
distinzione sarà più possibile.
Il Wto ha
istituito più di cinquanta commissioni e gruppi di lavoro per
mandare a effetto l’armonizzazione. Questi gruppi di lavoro non
danno l’opportunità alle persone interessate o alle
comunità potenzialmente toccate di sottoporre informazioni e
analisi o di partecipare, e in genere conducono le loro operazioni a
porte chiuse. Eppure, in base alle attuali regole commerciali, questi
processi di determinazione degli standard possono influenzare
direttamente le politiche nazionali, regionali e locali. Negli Usa,
l’azione legislativa del governo deve essere pubblica e aperta
alla partecipazione di tutti. L’armonizzazione internazionale,
tuttavia, taglia le gambe a questo processo.
-
Verso
la fine del novembre 1999, a Seattle, nello stato di Washington, è
programmato un incontro dei 134 paesi membri del Wto, durante il
quale un vertice dei ministri traccerà un piano di lavoro per
il futuro. Al momento della compilazione di questo libro, numerosi
paesi stanno mettendo a punto le proprie posizioni per l’incontro.
Le grandi imprese multinazionali puntano a un consistente ampliamento
della normativa del Wto, che arrivi a coprire i settori della salute
e dell’istruzione, e a stabilire nuovi diritti per gli
speculatori monetari e gli investitori stranieri (portando
all’interno del Wto il Multilateral Agreement on Investment
(Mai), un trattato molto controverso, bocciato dall’opposizione
pubblica e legislativa nel 1998).
Al Wto gli Usa hanno ridotto
ulteriormente il loro già modesto elenco di punti da discutere
in materia di tutela ambientale e dei lavoratori, puntando invece a
ottenere un accordo nel quale l’assemblea dei ministri si
impegni:
- Ad aprire nuovi negoziati per estendere il
campo d’azione del Wto includendovi nuovi settori dei servizi
quali la salute e l’istruzione;
- A estendere la
normativa riguardante gli approvvigionamenti governativi a tutti i
paesi del Wto, richiedendo agli stessi di rendere noti tutti i loro
programmi di approvvigionamento, e di aderire a futuri negoziati per
limitare la facoltà dei governi di prendere in esame fattori
non commerciali (quali la tutela dell’ambiente e lo sviluppo
economico) nel prendere decisioni per gli acquisti;
- A
sottoscrivere un patto di liberalizzazione del taglio dei boschi che
potrebbe aumentare la deforestazione del 4% annuo;
- Ad
aprire nuovi negoziati per la tutela da parte del Wto dei prodotti
delle biotecnologie (quali gli OGM, organismi geneticamente
modificati);
- A deregolamentare ulteriormente il
commercio agricolo.
Il
piano del governo Usa per estendere l’attuale modello Wto si
scontra in gran parte con l’opinione pubblica interna, in
quanto ridurrebbe la partecipazione dei cittadini consentita dalle
leggi vigenti. Un’inchiesta ha recentemente dimostrato che
l’81% degli americani ritiene che il Congresso dovrebbe opporsi
ai patti commerciali che danno a una nazione il potere di ribaltare
le leggi di un’altra in materia di sicurezza dei consumatori, e
di tutela dei lavoratori e dell’ambiente.
Una coalizione
mondiale di associazioni di cittadini – credenti, lavoratori,
consumatori, ambientalisti, piccoli agricoltori e altri –
chiede che si volti pagina. Si vuole una revisione aggettiva
dell’operato e della normativa del Wto, mirando soprattutto a
quelle norme che interferiscono inopportunamente con le politiche
nazionali; si chiede che alcune questioni siano completamente
sottratte alla giurisdizione del Wto, che alcune norme siano
sostituite da altre che puntano all’interesse della popolazione
più ampia. “No New Round, Turnaround” è lo
slogan di questa ampia coalizione, che comprende organizzazioni non
governative di tutto il mondo.
Speriamo che dopo aver letto
questo libro vi venga voglia di unirvi al movimento per arrestare
l’espansione del programma di globalizzazione economica voluta
dalle grandi imprese multinazionali, e in appoggio a una forma di
governo democratica che risponda ai cittadini del proprio operato.
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