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Introduzione

Dopo decenni di pubblicità martellante da parte delle multinazionali che producono latte in polvere per neonati, il mondo si trova a confrontarsi con la piaga dei decessi neonatali che si verifica nei paesi del Terzo mondo quando le madri mescolano il latte in polvere con acqua batteriologicamente infetta. In risposta a questa crisi della pubblica sanità e a una campagna mondiale dei gruppi umanitari, l’Unicef istituisce un codice mondiale che regolamenta il commercio del latte in polvere. Più di un centinaio di paesi adottano quel codice, che vieta di distribuire il latte in polvere in confezioni su cui siano raffigurati neonati floridi e robusti: l’intento è quello di evitare che le madri associno l’idea del latte in polvere a quella della salute, abbandonando l’usanza dell’allattamento al seno.
Ma non tutti apprezzano l’idea. Gerber Foods, un’azienda il cui logo commerciale rappresenta un neonato felice e grassottello, solleva le obiezioni più forti. Quando il Guatemale richiede alla Gerber di togliere l’immagine del bambino dalle confezioni dei prodotti venduti in Guatemala, l’azienda si rifiuta, e minaccia un’azione legale appellandosi a un accordo commerciale internazionale noto come Gatt.
All’insaputa della maggior parte dei cittadini, il Guatemala come in altri paesi, le trattative proseguono, arrivando a definire a grandi linee la proposta di un nuovo istituto commerciale straordinariamente potente, il Wto. Questo nuovo organismo avrà la facoltà di fare applicare una normativa di oltre 700 pagine, che regolamenta numerose questioni prima di competenza dei governi nazionali. All’interno di questa normativa, un nuovo accordo sui diritti di proprietà impone ai paesi di dare la priorità ai marchi delle imprese globali rispetto ad altri di portata nazionale.
Il nuovo organismo è dotato di un eccezionale potere esecutivo, mai contemplato né dagli accordi sul controllo mondiale degli armamenti, sull’ambiente, o sui diritti umani, né da altre massime convenzioni internazionali. Da esso scaturisce un nuovo sistema di governo globale, in cui un paese può mettere in discussione le leggi di un altro sottoponendole al giudizio di commissioni riservate, formate da burocrati del commercio, che si riuniscono a porte chiuse nella sede di Ginevra. Le politiche ritenute in contrasto con le norme del Wto dovranno essere abrogate o modificate; i paesi che insisteranno nell’adottarle pagheranno al paese che risulterà vincente nel giudizio tariffe più alte o compensazioni economiche di altro tipo.
Come firmatario del Gatt, il governo guatemalteco sa quali sono le sfere di competenza dell’accordo ed è a conoscenza della proposta di costituzione del Wto. Di fronte alla prospettiva di una lunga e costosa battaglia dinnanzi a una commissione del Wto, il Guatemala fa marcia indietro ed esonera l’alimento per neonati dal rispetto delle norme sulle confezioni. Ancora oggi il neonato paffuto della Gerber fa bella mostra di sé in tutti i supermercati del paese.
Questa vicenda rappresenta soltanto un esempio dei modi in cui il Wto può influenzare, a livello planetario, la vita di un’infinità di persone, la maggior parte delle quali ignorano completamente la sua esistenza, e sono inconsapevoli di come la sua nascita sia equivalsa a un silenzioso colpo di stato ai danni delle democrazie di tutto il mondo.

A differenza dei precedenti patti commerciali, il Wto e gli accordi che lo compongono estendono il proprio raggio d’azione molto al di là delle tradizionali questioni commerciali, come le tariffe, le quote, o le prescrizioni sul trattamento da riservare alle merci nazionali e straniere. Le norme del Wto possono per esempio limitare l’efficacia delle leggi di un paese in merito alla sicurezza dei cibi o al rispetto delle norme di etichettatura dei prodotti. Possono impedire a un paese di vietare il commercio di prodotti ottenuti con il lavoro minorile. Possono perfino regolamentare l’impiego delle imposte statali (per esempio vietando che nelle decisioni di acquisto dei governi incidano considerazioni di carattere ambientale o umanitario). Le restrizioni del Wto si applicano tanto alle leggi locali o regionali quanto alle leggi nazionali.

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Promesse e realtà: documentiamo gli effetti del Wto

Il Wto venni istituito il primo gennaio 1995 come parte dell’Uruguay Round Agreement all’interno del Gatt, e conta oggi 134 paesi membri. Mentre ancora sono in corso i negoziati dell’Uruguay Round i gruppi ambientalisti, le associazioni dei consumatori e dei lavoratori segnalano allarmati che il sistema rappresentato dal Gatt, in vigore ormai da decenni, uscirà da quella trattativa con una fisionomia radicalmente diversa, e un’estensione tale delle sue facoltà da poter assoggettare gli obiettivi di pubblico interesse – la creazione di governi responsabili, la tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza, la difesa dei diritti umani e del lavoro – agli interessi delle aziende multinazionali.
I fautori dell’Uruguay e del Wto liquidano questi allarmi come profezie catastrofiche frutto di cattiva informazione. Assicurano che l’Uruguay Round e il Wto non minacciano in alcun modo la sovranità nazionale e la libertà degli stati di decidere in modo democratico e responsabile le proprie politiche. Sostengono che l’attuazione dell’Uruguay Round porterà enormi vantaggi economici a tutti i paesi del mondo: il deficit commerciale degli Usa diminuirà di 60 miliardi di dollari in dieci anni; i paesi dell’America latina saranno investiti da un vero boom economico, e anche in Asia la crescita sarà vertiginosa. Il segretario americano al Tesoro Lloyd Bentsen predice addirittura che negli Usa l’approvazione dell’Uruguay Round comporterà un aumento di 1700 dollari sul reddito di ogni nucleo famigliare.
Oggi, a distanza di quasi cinque anni, è evidente che le politiche di pubblico interesse sono state gravemente danneggiate dall’operato del Wto, e che i sistemi di salvaguardia della salute e dell’ambiente sono minacciati negli Usa e in tutto il mondo. I vantaggi economici promessi non si sono realizzati. Non solo il Wto non è stato all’altezza delle promesse dei suoi promotori, ma continua a produrre guasti irreparabili.
Questo libro, risultato di un’indagine di un anno condotta dal Public Citizen’s Global Trade Watch, analizza i risultati di cinque anni di attività del Wto: studia gli effetti del Wto sulla difesa e la conservazione dell’ambiente, sulla sicurezza dei cibi e dei prodotti, sulla pubblica sanità, sulla sicurezza nel lavoro e sull’accesso ai farmaci, sull’occupazione, sulla reperibilità dei mezzi di sostentamento, sullo sviluppo economico e sugli standard di vita, sui diritti umani e del lavoro.
Questo libro documenta il pericoloso slittamento del potere decisionale, dalle istanze responsabili e democratiche – dove i cittadini hanno la possibilità di battersi perché si faccia il pubblico interesse – a entità internazionali occulte e remote, prive di responsabilità di fronte ai cittadini, le cui norme e il cui operato soggiacciono agli interessi delle imprese multinazionali. Paradossalmente, gli Usa – che vantano, in teoria, un sistema di governo tra i più aperti e responsabili – sono in prima fila nell’usare il Wto per minare le istituzioni democratiche degli altri paesi e i sistemi che le hanno finora sostenute.
Gran parte dell’informazione che presentiamo in merito alle vertenze giudicate dal Wto, e alla minaccia che esso rappresenta per i governi e le associazioni, viene pubblicata per la prima volta ed è stata ottenuta soltanto dopo minuziosa ricerca. La tendenza che emerge è che il Wto sta tacitamente erodendo l’equilibrio tra gli interessi dei cittadini in fatto di equità economica, protezione dell’ambiente, salute e sicurezza da un lato, e gli interessi a breve termine delle imprese multinazionali in fatto di controllo dei mercati e di redditività dall’altro.
I fautori di questo sistema lo definiscono “libero mercato”, ma le regole del Wto (molte delle quali impongono ampie restrizioni di stampo monopolistico in diversi settori commerciali come quello dei farmaci e delle tecnologie) poco hanno a che fare con le filosofie di Adam Smith e David Ricardo, favorendo invece un modello di globalizzazione economica che sarebbe più appropriato chiamare “mercato delle multinazionali”.
Non è ancora possibile contemplare questo nuovo sistema di governo in tutta la sua estensione perché alcune delle sue norme non sono ancora pienamente applicate. È tempo tuttavia di domandarsi: è un sistema al servizio di chi? Certo non della maggioranza dei cittadini del pianeta. Questo libro comincia a documentare che il sistema attualmente emergente favorisce SOLO le grandi imprese multinazionali e i soggetti più ricchi dei paesi avanzati e di quelli in via di sviluppo.
Non è detto che questo sistema si debba ormai dare per scontato. Malgrado gli sforzi propagandistici di coloro che beneficiano di questo assetto per convincerci del contrario, il progetto del Wto è ancora a uno stadio iniziale: non è inevitabile come il fatto che la Luna fa salire le maree. Portare a compimento il Wto e la globalizzazione che esso comporta richiede ancora un grandissimo sforzo di pianificazione, di pubbliche relazioni e di lavoro politico. Se non gradiamo le prospettive di questo progetto, possiamo inventarci delle alternative.
Lo scopo di questo libro è quello di mettere in luce gli effetti dell’attuale sistema per coloro che saranno maggiormente colpiti dalla scelta di un modello invece che un altro. Lo abbiamo scritto per tutta quella gente che sa poco del Wto e del suo operato, e che quindi non immagina lontanamente quale minaccia esso rappresenti per la salute, la sicurezza, la sopravvivenza, gli alimenti, l’ambiente e il futuro.
Se dopo aver letto questo libro concordate con noi che gli esiti del Wto sono inauspicabili e inaccettabili, siete pregati agire. Lavorando insieme, gli abitanti di tutto il pianeta possono chiedere di sostituire il modello Wto con un sistema più equo, che risponda di fronte ai cittadini e sia ecologicamente sostenibile.

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I miglioramenti economici promessi non si concretizzano

Dobbiamo aspettare che le norme dell’Uruguay Round si realizzino in tutti i loro aspetti prima di poterne valutare gli effetti economici a lungo termine. Ma le linee di tendenza fin qui emerse lasciano presagire gravi problemi. Queste linee dovrebbero mutare drasticamente per riportare semplicemente i paesi in via di sviluppo alle condizioni, senza dubbio più favorevoli, preesistenti all’Uruguay Round; e ancora di più per adempiere alle molte bizzarre promesse di progresso economico ventilate dagli entusiastici fautori dell’Uruguay Round.
Quello che oggi sappiamo con certezza è che dalla nascita del Wto il mondo è stato colpito da un’instabilità finanziaria senza precedenti. La crescita economica dei paesi in via di sviluppo ha subito un drastico rallentamento. La disparità dei redditi tra paese e paese e all’interno dei singoli paesi va rapidamente crescendo. Malgrado l’incremento della produttività, nella maggior parte dei paesi i salari non sono aumentati. I prezzi dei prodotti agricoli sono al minimo storico, il che produce per molti un abbassamento del tenore di vita, specie in Asia, in Africa e in America latina. Di fatto, nella maggior parte dei paesi la fase dominata dall’Uruguay Round ha portato drastici capovolgimenti di “fortuna”.
L’America latina sta affogando nella depressione economica più profonda che abbia conosciuto dalla crisi del debito degli anni Ottanta. Un rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad) riscontra che “in quasi tutti i paesi in via di sviluppo che hanno intrapreso una rapida liberalizzazione del commercio, le disparità salariali sono aumentate, molto spesso nel quadro di un calo dell’occupazione dei lavoratori non qualificati dell’industria, provocando una caduta dei salari reali dell’ordine del 20-30% nei paesi dell’America latina”.
L’Asia orientale è paralizzata da una crisi economica causata in parte dalla deregolamentazione del settore degli investimenti e dei servizi finanziari che le norme del Wto hanno intensificato e allargato ad altre nazioni. Mentre i mezzi di comunicazione statunitensi annunciano che la crisi è superata, gli abitanti della Corea del Sud sperimentano sulla propria pelle una situazione ben diversa: la crisi ha quadruplicato il tasso di disoccupazione, e portando l’aumento della povertà assoluta al 200%, ha fatto regredire di decenni l’economia del paese.
In generale, gli indicatori economici globali dipingono un quadro a tinte fosche: nel 1997 la disparità di reddito tra il quinto della popolazione mondiale che vive nei paesi più ricchi e il quinto che vive nei paesi più poveri è di 74 a 1, mentre era di 60 a 1 nel 1990 e di 30 a 1 nel 1960. Alla fine del 1997 il 20% della fascia più ricca detiene l’86% del reddito mondiale, mentre il 20% della fascia più povera si deve accontentare dell’1%.
Negli Usa il deficit commerciale è al massimo storico con 218 miliardi di dollari, e sta ancora salendo – non scendendo, come promesso – dopo essere balzato a questa cifra dai 98 miliardi del 1994. il reddito della famiglia media non è aumentato di 1700 dollari l’anno, come promesso dall’amministrazione Clinton, in nessuno degli ultimi quattro anni, e questo nonostante il fatto che l’economia statunitense stia crescendo a un ritmo da record.
Pur disegnando un quadro estremamente eloquente, le cifre dell’economia danno conto soltanto di un aspetto della questione. Di uguale rilevanza, ma meno noto, è il costante primato del Wto nell’erodere le politiche di pubblico interesse volte alla salvaguardia dell’ambiente, della salute, della sicurezza, dei diritti umani e della democrazia.

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Le vertenze e le minacce del Wto pregiudicano il pubblico interesse

Le crescenti limitazioni imposte dall’Uruguay Round alla facoltà dei governi di mantenere normative di pubblico interesse vengono attuate per mezzo di un sistema di commissioni interne al Wto, che hanno la facoltà di giudicare la conformità delle leggi di un paese ai principi del Wto.
Fin dal suo ingresso sulla scena, nel 1995, il Wto ha sempre giudicato che tutte le politiche legislative da esso prese in esame costituiscono barriere illegittime per il commercio, che in quanto tali devono essere abolite o modificate. I paesi le cui leggi sono state dichiarate barriere illegittime – o che sono stati semplicemente minacciati di giudizio da parte del Wto – hanno abolito o mitigato le proprie normative. Oltre a depotenziare gravemente alcuni orientamenti, questa tendenza ha un effetto paralizzante sulla propensione dei paesi ad approvare nuove leggi sull’ambiente, i diritti umani o la sicurezza, agendo sulla paura dei governi di trovarsi di fronte a nuove sfide.
I meccanismi stessi del Wto, concepiti per favorire il commercio e le multinazionali, rendono inevitabile questo risultato. A differenza delle commissioni nazionali, ma anche di altri organismi internazionali di arbitrato, le commissioni e i gruppi di lavoro del Wto rivelano una sorprendente mancanza di “trasparenza”, di apertura e di responsabilità di fronte ai cittadini. Questo conduce alla possibilità che le industrie vi esercitino un’influenza esorbitante. Un membro della dirigenza del Wto ha ammesso al “Financial Times” che il Wto “è il luogo dove i governi colludono in segreto contro i gruppi di pressione nazionali” [1].
Perfino le commissioni incaricate di dirimere le controversie si riuniscono in forma privata, basano le loro decisioni su documenti che non vengono resi pubblici e sul parere di anonimi “esperti”; i loro resoconti rimangono strettamente riservati finché non sia stato deposto un giudizio vincolante. I consulenti del Wto vengono scelti per le loro credenziali in campo commerciale, non in settori come la sanità, la tutela ambientale o le strategie di sviluppo. In ogni caso si tratta di persone che difendono il commercio a oltranza, non giudici obiettivamente imparziali.
Le commissioni si pronunciano sistematicamente contro le leggi nazionali accusate di violare le norme del Wto. I paesi sotto accusa hanno vinto solo 3 dei 22 confronti completati fino ad oggi (di questi tre casi, due si sono conclusi a svantaggio degli Usa): in un sistema simile i paesi poveri e le leggi che difendono il pubblico interesse sono i grandi perdenti. Di solito i paesi in via di sviluppo non hanno né il denaro né le competenze per portare la propria causa in giudizio o per difendersi davanti al Wto. Molti emendano semplicemente le proprie leggi prima che la questione arrivi sui tavoli delle commissioni, dando modo così alle imprese e ai paesi più potenti di distribuire minacce e di obbligare le nazioni più piccole a cambiare le proprie normative e le proprie leggi in modo da renderle conformi alle prescrizioni del Wto.
Poiché il Wto è ancora molto giovane, i casi descritti in questo libro non sono che l’inizio, ma offrono già uno spaccato decisamente inquietante di quello che avverrà nel futuro, se non si farà in modo che le cose cambino radicalmente.
Il problema principale nasce dal fatto che gli obiettivi e le politiche dei vari paesi devono superare l’esame del Wto, il quale, tra gli altri criteri, esige che le leggi e le normative siano le meno restrittive possibili nei confronti del commercio.
Basti pensare a come è finito il tentativo degli Usa di ridurre le emissioni dei gas di scarico delle auto. Dopo la vittoria del Venezuela nel ricorso contro il Clean Air Act (la legge sull’inquinamento atmosferico,
ndt), accusato di colpire ingiustamente gli interessi dell’industria petrolifera venezuelana, gli Usa abbassano gli standard che regolamentano la presenza di agenti inquinanti nella benzina. Con palese ambiguità di giudizio, il decreto della commissione arbitrale afferma in questo caso che un paese è libero di scegliere la politica ambientale che preferisce, a patto che sia compatibile con la linea del Wto.
Inoltre, le norme del Wto vietano ai paesi di trattare prodotti dalle caratteristiche simili in modo diverso, a seconda del modo in cui essi vengono ottenuti o raccolti. Per esempio, a giudizio del Wto, i tonni catturati con reti innocue per i delfini devono essere commercialmente trattati in modo non diverso dai tonni catturati con reti che intrappolano i delfini. Per questo l’amministrazione Clinton collabora con la componente antiambientalista più retriva del Congresso per mitigare una legge popolare finalizzata a evitare che i delfini vadano a morire nelle reti dei tonni. L’emendamento viene proposto in seguito alla minaccia del Messico di ricorrere al Wto per chiedere l’attuazione di una precedente disposizione del Gatt contro le restrizioni nella pesca dei tonni adottate dagli Usa a salvaguardia dei delfini. Questa logica regressiva ha già portato alla sospensione di alcune leggi – per esempio quelle che bandiscono la pesca a strascico, o che impongono processi di fabbricazione meno inquinanti – e mette a rischio l’esistenza di altre che vietano il commercio di prodotti ottenuti con il lavoro minorile, o fabbricati in paesi che calpestano i diritti umani.
Inoltre la filosofia del Wto mina le basi della cooperazione mondiale sull’ambiente, sulla salute, sui diritti umani. Se un paese è membro del Wto, il modo in cui rispetta sul proprio territorio altri impegni contratti in ambito internazionale deve essere subordinato alle norme del Wto. Per esempio, il Wto si è pronunciato contro le disposizioni della legge statunitense per la salvaguardia delle specie in via di estinzione, che imponeva ai pescatori di gamberetti il rispetto delle tartarughe marine – legge con la quale gli Usa adempivano agli obblighi assunti nell’ambito della Convenzione sul commercio internazionale delle specie protette (Cites). E attualmente gli Usa e l’Europa contestano la politica adottata dal Giappone nello sforzo di applicare le leggi che realizzano gli Accordi di Kyoto sul mutamento generale del clima dichiarandole illegittime ai sensi del Wto.
La normativa Wto pone un limite alla sicurezza indicando alcuni standard internazionali come gli unici validi. Gli standard nazionali che eccedono quelli internazionali devono superare una rigorosa serie di verifiche per non essere considerati barriere commerciali. D’altro canto, nell’ambito della salute e dell’ambiente, non esiste un livello minimo a cui tutti i paesi debbano conformarsi – non esistono cioè standard da rispettare, ma solo standard che non devono essere superati.
Facciamo un altro esempio: la Francia, assieme ad altri nove paesi europei, proibisce l’uso dell’amianto quale noto agente cancerogeno. Il Canada sostiene che le norme del Wto gli conferiscono il diritto di continuare a vendere il suo amianto, e presenta ricorso al Wto contro il divieto proclamato dalla Francia. La normativa Wto impone che gli standard nazionali ricalchino quelli internazionali; gli standard internazionali, pesantemente influenzati dall’industria, consentono un “uso controllato” dell’amianto. Il Canada sostiene quindi che un tale divieto, garantendo una maggiore tutela della salute rispetto agli standard internazionali, trasgredisce le norme del Wto. Il caso è attualmente all’esame di una commissione Wto.

I vari casi presi in esame dimostrano chiaramente che il sistema Wto ribalta il concetto sulla base del quale la maggior parte dei governi affrontano il problema della sicurezza alimentare e altre strategie connesse alla salute. Di solito sono i fabbricanti a dover dimostrare che un prodotto è sicuro prima di immetterlo sul mercato, e i paesi non ne autorizzano la vendita finché l’azienda produttrice non ne abbia fornito la documentazione adeguata. Invece, in base alla normativa Wto, l’onere della prova è ribaltato: i governi devono dimostrare che un prodotto non è sicuro prima di vietarlo, e devono superare ostacoli procedurali quasi impossibili per dimostrare che un prodotto costituisce un pericolo per la salute. Inoltre, le leggi del Wto danno priorità al commercio rispetto a qualsiasi altra cosa, anche alla salute, esigendo esplicitamente che le normative nazionali siano le meno limitative possibili per il commercio.
Con l’istituzione del Wto, il controllo su questioni di primaria importanza come la sicurezza dei cibi viene sottratto ai corpi legislativi nazionali e consegnato di fatto agli interessi delle multinazionali. La sentenza del Wto contro il divieto dell’Europa al manzo contenente residui di ormoni artificiali della crescita illustra con allarmante chiarezza l’approccio del Wto alla salute e alla sicurezza umane. Il Wto decreta che il divieto dell’Europa alla vendita di carne contaminata con ormoni artificiali deve essere abolito, perché gli europei non hanno preventivamente dimostrato su basi scientifiche inoppugnabili che i “residui” di ormoni artificiali nella carne rappresentano una minaccia per la salute, nonostante si sappia che gli ormoni in quanto tale sono effettivamente nocivi. L’Unione Europea non accetta di piegarsi alle pressioni statunitensi e continua a respingere il prodotto sgradito (e nocivo) ai suoi consumatori, ma in conseguenza del suo atto è costretta a pagare sanzioni commerciali autorizzate dal Wto per un importo di 115 milioni di dollari all’anno.
Un altro aspetto allarmante del nuovo regime Wto è che in questo sistema le nazioni vengono usate dalle multinazionali per mettere in discussione le normative di altri paesi. Gli Usa lanciano il sasso per Chiquita, quando il gigante delle banane attacca l’Europa per il trattamento preferenziale accordato alle banane provenienti dalle ex colonie europee. Gli Usa non producono banane per l’esportazione, e la maggior parte dei lavoratori della Chiquita sono braccianti sottopagati che si ammazzano di fatica nelle grandi piantagioni del Centroamerica. L’Europa annuncia di non avere altra scelta se non quella di rinunciare al trattamento preferenziale – decisione che potrebbe avere un impatto devastante sui piccoli produttori caraibici indipendenti. La manovra rischia di portare a una profonda destabilizzazione della basi economiche su cui si fondano le numerose piccole nazioni democratiche dei Caraibi. Un simile esito finirebbe del resto per minare anche gli interessi degli Usa nella regione, fondato sull’interdizione delle droghe, sulla stabilità politica, sul turismo e il commercio.
Ma non c’è bisogno che un paese arrivi effettivamente a trascinare in giudizio le leggi di un altro paese, per riuscire a cambiarle. Spesso è sufficiente la minaccia. Dopo la minaccia degli Usa di ricorrere al Wto, la Corea del Sud mitiga due leggi sulla sicurezza dei cibi: una relativa ai tempi della conservazione delle carni, l’altra ai controlli sulla frutta e sugli ortaggi. E mentre molti americani assistono alla contestazione che le organizzazioni dei malati di Aids inscenano contro una campagna del vicepresidente Al Gore, pochi si rendono conto che alla base della protesta c’è una minaccia del Wto: gli sforzi del Sudafrica per rendere più accessibili alla popolazione i farmaci, e soprattutto i trattamenti contro l’Aids, destano la suscettibilità delle aziende farmaceutiche internazionali e dell’amministrazione Clinton, le quali sostengono che quella linea di condotta viola i diritti di proprietà delle risorse intellettuali garantiti alle aziende dalle norme del Wto. La proposta del Sudafrica favorisce l’autorizzazione di licenze – in modo che le versioni di base dei farmaci, le meno costose, possano essere prodotte – e la contemporanea importazione dei farmaci più economici da altri paesi.
Poiché i paesi in via di sviluppo mancano generalmente delle risorse e delle competenze per difendersi nelle controversie, queste minacce possono essere particolarmente lesive. Ma ad essere sconfitti non sono solo i paesi in via di sviluppo. Anche i paesi avanzati si vedono minare alcune valide strategie.

In questo libro illustriamo alcuni dei misfatti perpetrati dal Wto; ma si tratta soltanto della punta dell’iceberg, perché la maggior parte delle sue attività sono coperte dal segreto.

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L’imperativo del Wto: il commercio viene al primo posto


Al di là dei singoli casi, già di per sé molto preoccupanti, è la tendenza di fondo a metterci in allarme. È ormai evidente che nel forum del Wto il commercio globale ha la priorità su tutto: sulla democrazia, sulla salute dei cittadini, sulla giustizia, sull’ambiente, sulla sicurezza dei cibi e su molto altro ancora.
Addirittura, grazie alla normativa del Wto, il commercio globale ha la priorità perfino sulle piccole imprese. Come illustreremo nel capitolo riguardante gli effetti del Wto sulle economie dei paesi avanzati, l’Uruguay Round fornisce alle multinazionali nuovi elementi di diritto per insediarsi in qualsiasi paese membro del Wto. Ovviamente le piccole imprese non possono usufruire, per esempio, del nuovo diritto di impiantare un sistema di telecomunicazioni in un paese, di aprire una filiale all’estero o di trasferire la produzione in un altro paese per aggirare i minimi salariali o evitare i costi resi necessari dalla legislazione sull’ambiente e sulla sicurezza del lavoro. Ma la cosa più deleteria è che la normativa Wto impedisce l’affermazione di una strategia di promozione delle piccole imprese che potrebbe avere l’effetto di discriminare le grandi imprese straniere, cioè le uniche che possono introdursi nel mercato di un altro paese.
Negli anni più recenti, gli investimenti diretti da parte di aziende straniere si sono drasticamente ritirati dalla costituzione di nuove imprese per promuovere un consolidamento attraverso la fusione con aziende già esistenti. Come documentiamo nelle pagine che seguono, questa tendenza si è espressa al massimo dell’intensità nei settori in cui gli accordi del Wto hanno avuto piena attuazione, e cioè quelli dei servizi finanziari e delle telecomunicazioni. Questo nuovo entusiasmo per le fusioni fa nascere problemi di concentrazione di mercato e, in assenza di una forza che le bilanci, influenzerà sempre più i prezzi al consumo e l’accesso ai servizi. Non solo questa tendenza ha portato all’assorbimento delle piccole aziende da parte delle imprese globali, ma con la normativa Wto i paesi in via di sviluppo si sono visti sottrarre molti strumenti di tutela delle industrie nascenti che, per esempio negli Usa, sono stati resi possibili dallo sviluppo economico.
In realtà, il piano manifesto del Wto è quello di portare tutti i paesi del mondo – che siano o non siano d’accordo – all’interno di un mercato globale progettato a uso e consumo delle multinazionali insediate nei paesi avanzati. In cinque anni di esistenza del Wto, la quota del commercio mondiale in mano ai paesi più poveri si è drasticamente ridotta.
Inoltre, le regole del Wto mirano a mercificare ogni cosa – a trasformare ogni cosa in una forma di proprietà – in modo che poi possa essere commerciata. Per esempio, il nuovo sistema concede brevetti – e quindi diritti di commercio esclusivi – per forme di vita e conoscenze indigene. Si pensi a quello che è successo in India, dove la popolazione indigena usa da generazioni il neem a scopi medicinali. Quando un importatore statunitense ha scoperto le proprietà farmaceutiche del neem, le compagnie multinazionali statunitensi e giapponesi hanno richiesto e ottenuto numerosi brevetti su prodotti ottenuti dal neem, privando le popolazioni indigene della possibilità di trarre vantaggio da una conoscenza che hanno sviluppato nei secoli.
Si pensi anche in quale drammatica situazione si vengono a trovare i piccoli contadini che praticano l’agricoltura di sussistenza. Malgrado l’aumento massiccio del commercio di generi alimentari, soltanto il 15% della riserva mondiale di cibo passa per il commercio: un’ampia fetta della popolazione mondiale ricava il proprio sostentamento dall’agricoltura di sussistenza. I piccoli contadini riescono a produrre ogni anno i raccolti conservando i semi da quelli dell’anno precedente. Tuttavia, con le nuove garanzie sui diritti di proprietà intellettuale previste dal Wto, un’azienda può ottenere i diritti di proprietà – praticamente un brevetto – sulla conoscenza e lo sforzo degli agricoltori locali che hanno derivato il seme perfettamente adattato nell’arco di generazioni. Una volta che un’azienda (o una compagnia multinazionale) possieda il brevetto per una certa varietà di seme, può obbligare i contadini privi di denaro a pagare una “royalty” annuale – a comperare nuovi semi ogni anno – o a non impiegare più quella varietà, che potrebbe essere l’unica disponibile o efficace in quella regione. Inoltre, per mezzo di un’innovazione chiamata “Terminator technology”, le aziende possono modificare le piante rendendone sterili i semi, in modo che il contadino non li possa recuperare per usarli l’anno successivo. Ciò autorizza di fatto le compagnie a derubare i piccoli agricoltori della capacità di dar da mangiare a se stessi e alle proprie famiglie.
Un’altra peculiarità generale del Wto è la spinta all’”armonizzazione”. Armonizzazione è la parola usata dall’industria per indicare la sostituzione degli standard diversificati di molte nazioni con standard mondiali uniformi, azioni che permette alle aziende di produrre merci e servizi per un unico mercato globale. L’armonizzazione ha compiuto un grande balzo in avanti con l’istituzione del Wto, che costringe o incoraggia i governi nazionali ad armonizzare gli standard in settori come quelli della sicurezza del lavoro e degli alimenti, dei brevetti farmaceutici, delle normative ambientali e dell’etichettatura informativa dei prodotti.
L’armonizzazione si basa sulla premessa che il mondo è un unico gigantesco mercato. Le diversità negli standard, anche quando esprimono diversità di cultura e valori, sono considerate intrinsecamente indesiderabili (cioè un ostacolo da eliminare) perché frammentano il mercato globale. Ma si tratta di una premessa errata.
Quando un unico standard viene imposto universalmente, è impossibile rispettare la varietà di scelte che i membri delle società di tutto il mondo operano rispetto ai modelli di vita. Le organizzazioni dei consumatori guardano all’armonizzazione con molto scetticismo, giudicando che una simile manovra produce un inevitabile conflitto tra il fine dell’industria (unificare globalmente i mercati) e la democrazia e il potere dei consumatori.
Un caso di armonizzazione è illustrato dalla scelta degli Usa di accettare importazioni di carne australiana, ispezionata dalle stesse aziende produttrici, come “equivalente” a quella ispezionata dagli organismi di controllo del governo statunitense. I consumatori non avranno modo di sapere di quale delle due carni si tratti perché entrambe porteranno il marchio di approvazione del dipartimento dell’Agricoltura statunitense. Eppure in Australia gli avvelenamenti da salmonella sono aumentati vertiginosamente da quando nel paese è stato consentito alle industrie di effettuare autonomamente i controlli. Questo fenomeno dovrebbe indurre gli Usa a un controllo supplementare prima di autorizzare le spedizioni – invece si preferisce dichiarare che il nuovo sistema australiano è equivalente a quello degli Usa, aprendo così le porte all’importazione.
Quando si parla di “equivalenza” significa che standard di altri paesi, anche considerevolmente diversi – e spesso in senso peggiorativo -, possono essere considerati alla stessa stregua degli standard nazionali di un paese. Il Wto provvede a stabilire l’equivalenza basandosi su confronti soggettivi, in assenza di chiare linee procedurali e senza rendere conto di quali fattori siano i fattori presi in esame. Una volta che i paesi abbiano dichiarato “equivalenti” i propri reciproci standard, nessuna distinzione sarà più possibile.
Il Wto ha istituito più di cinquanta commissioni e gruppi di lavoro per mandare a effetto l’armonizzazione. Questi gruppi di lavoro non danno l’opportunità alle persone interessate o alle comunità potenzialmente toccate di sottoporre informazioni e analisi o di partecipare, e in genere conducono le loro operazioni a porte chiuse. Eppure, in base alle attuali regole commerciali, questi processi di determinazione degli standard possono influenzare direttamente le politiche nazionali, regionali e locali. Negli Usa, l’azione legislativa del governo deve essere pubblica e aperta alla partecipazione di tutti. L’armonizzazione internazionale, tuttavia, taglia le gambe a questo processo.

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La scelta sta a noi: Seattle. Il vertice dei ministri del Wto


Verso la fine del novembre 1999, a Seattle, nello stato di Washington, è programmato un incontro dei 134 paesi membri del Wto, durante il quale un vertice dei ministri traccerà un piano di lavoro per il futuro. Al momento della compilazione di questo libro, numerosi paesi stanno mettendo a punto le proprie posizioni per l’incontro. Le grandi imprese multinazionali puntano a un consistente ampliamento della normativa del Wto, che arrivi a coprire i settori della salute e dell’istruzione, e a stabilire nuovi diritti per gli speculatori monetari e gli investitori stranieri (portando all’interno del Wto il Multilateral Agreement on Investment (Mai), un trattato molto controverso, bocciato dall’opposizione pubblica e legislativa nel 1998).
Al Wto gli Usa hanno ridotto ulteriormente il loro già modesto elenco di punti da discutere in materia di tutela ambientale e dei lavoratori, puntando invece a ottenere un accordo nel quale l’assemblea dei ministri si impegni:

- Ad aprire nuovi negoziati per estendere il campo d’azione del Wto includendovi nuovi settori dei servizi quali la salute e l’istruzione;

- A estendere la normativa riguardante gli approvvigionamenti governativi a tutti i paesi del Wto, richiedendo agli stessi di rendere noti tutti i loro programmi di approvvigionamento, e di aderire a futuri negoziati per limitare la facoltà dei governi di prendere in esame fattori non commerciali (quali la tutela dell’ambiente e lo sviluppo economico) nel prendere decisioni per gli acquisti;

- A sottoscrivere un patto di liberalizzazione del taglio dei boschi che potrebbe aumentare la deforestazione del 4% annuo;

- Ad aprire nuovi negoziati per la tutela da parte del Wto dei prodotti delle biotecnologie (quali gli OGM, organismi geneticamente modificati);

- A deregolamentare ulteriormente il commercio agricolo.


Il piano del governo Usa per estendere l’attuale modello Wto si scontra in gran parte con l’opinione pubblica interna, in quanto ridurrebbe la partecipazione dei cittadini consentita dalle leggi vigenti. Un’inchiesta ha recentemente dimostrato che l’81% degli americani ritiene che il Congresso dovrebbe opporsi ai patti commerciali che danno a una nazione il potere di ribaltare le leggi di un’altra in materia di sicurezza dei consumatori, e di tutela dei lavoratori e dell’ambiente.
Una coalizione mondiale di associazioni di cittadini – credenti, lavoratori, consumatori, ambientalisti, piccoli agricoltori e altri – chiede che si volti pagina. Si vuole una revisione aggettiva dell’operato e della normativa del Wto, mirando soprattutto a quelle norme che interferiscono inopportunamente con le politiche nazionali; si chiede che alcune questioni siano completamente sottratte alla giurisdizione del Wto, che alcune norme siano sostituite da altre che puntano all’interesse della popolazione più ampia. “No New Round, Turnaround” è lo slogan di questa ampia coalizione, che comprende organizzazioni non governative di tutto il mondo.
Speriamo che dopo aver letto questo libro vi venga voglia di unirvi al movimento per arrestare l’espansione del programma di globalizzazione economica voluta dalle grandi imprese multinazionali, e in appoggio a una forma di governo democratica che risponda ai cittadini del proprio operato.

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